La musica di Claude Debussy fra acqua, alchimia e fisica quantistica
Alessandro
Nardin dice: Il mare di Debussy si spalanca agli occhi e alle orecchie di
chi gli si accosta, lasciando il malcapitato al cospetto di una distesa dai
confini incerti.
Claude Debussy visse e
compose nella Parigi fin de siecle, teatro delle più importanti innovazioni
artistiche e culturali ma anche di quella che viene conosciuta come la
“rinascita occultista”: egli frequentò quegli stessi luoghi in cui poeti e
pittori simbolisti incontravano i mistici rosacroce e gli epigoni della nuova
alchimia. Ebbe quindi il modo di abbeverarsi delle stesse radici della
conoscenza e di sperimentare direttamente, tramite i suoni, una visione
del mondo al tempo stesso fisica e spirituale.
L’Acqua, elemento
cardine della sua vita compositiva, ne è la più perfetta trasposizione.
Quale immagine dell’acqua avrebbe potuto influenzare Debussy? Egli colloca la musica all’interno della natura stessa: è qui che si rivela il suo pensiero più autenticamente esoterico.
Per
lui «la musica è una somma di forze sparse» e la sua origine «è iscritta nella
natura.»
Essa
si colloca pertanto fra il moto sensibile dei fenomeni e il moto vitale
interiore, «non limitandosi solo alla riproduzione esatta della natura ma ai
legami misteriosi tra la natura e l’immaginazione.»
In
una delle definizioni più ermetiche, Debussy arriva a definire
l’arte musicale «una misteriosa matematica che partecipa all’infinito e che
presiede al moto delle acque e al gioco delle curve descritte dalle brezze
mutevoli».
Le origini esoteriche
della musica di Debussy
La musica è causa e al
contempo effetto di un movimento interno alla natura delle cose: il
movimento fenomenico dell’aria e dell’acqua che percepiamo con i nostri sensi,
non è che una derivazione.
È interessante a
questo punto confrontare queste riflessioni con quelle di François
Jollivet-Castelot, lo scienziato coevo del compositore, frequentatore delle
stesse società rosacroce che segnò una rinascita del pensiero e della pratica
alchemica.
Se il
Mercurio-Acqua è “vibrazione”, come dice Jollivet-Castelot, è anche suono:
l’Aria, è l’elemento che vivifica il suono, e che lo conduce al cospetto della
realtà naturale e degli uomini capaci di ascolto.
La
questione più importante e più carica di conseguenze è data proprio dalla natura
vibratoria che caratterizza l’elemento liquido: non un semplice movimento
ma un’oscillazione permanente, nascosta nel cuore stesso della materia e che
per sua stessa natura è suono.
Debussy
lo ha reso fenomeno reale tramite la propria musica.
Il Principio è vibrazione, la vibrazione è suono, il suono è Vita.
La
sensibilità del prof. Del Giudice lo portò spesso a mettere in parallelo
la coerenza interna della dinamicità della materia e la
musica.
«Le
oscillazioni del campo costituiscono la musica al cui ritmo le molecole danzano
collettivamente.»
È la
danza di Śiva della tradizione induista, «il flusso incessante di energia che
attraversa un’infinita varietà di configurazioni, che si fondono una
nell’altra.»
Per
Del Giudice, c’è un elemento privilegiato in cui è possibile riscontrare l’armonia
interna della materia, l’elemento che già Talete, primo filosofo, intuì
come origine della vita e della cui maternità universale Debussy fu cantore
devoto: l’acqua appunto.
«L’acqua
liquida è stata riconosciuta da tempo come la matrice di molti processi,
compresa la vita.» Ci ricorda Del Giudice.
La comprensione della
realtà attraverso la musica
«In re immobili,
numquam fit sonus.» In un mondo inerte, non esiste alcun suono.
Ma il mondo non è mai inerte. Ce lo dice la scienza,
che nega la possibilità della stasi totale delle particelle ponendo lo zero
assoluto come un punto d’arresto teorico irraggiungibile o aprendo le porte
alle infinite armonie della teoria delle stringhe. E ce lo conferma la musica.
Claude
Debussy si sentì investito della responsabilità di tradurre in musica la vita
della materia, il ciclo continuo di rigenerazione che nella morte vede i
prodromi della rinascita, la vibrazione perpetua, il respiro
dell’universo. La danza di Śiva, nella sua arte, non si è mai arrestata.
Così
come noi oggi possiamo comprendere l’esistenza delle più piccole, invisibili
particelle solo dalle tracce lasciate nelle loro collisione, così la
via esoterica di Debussy è comprensibile solo da ciò che ci ha lasciato: è nel
bagliore accecante della sua musica che la sua mente illuminata ha lasciato la
sua impronta.
«Solo
i musicisti hanno il privilegio di captare tutta la poesia della notte e del
giorno, della terra e del cielo, di ricostruirne l’atmosfera e ritmarne
l’immenso palpito.»
Articolo di Alessandro Nardin (Alessandro Nardin è nato nel 1977 a Milano, dove si è laureato in lettere a ha studiato pianoforte, e dove vive tuttora.
Insegnante, musicista, relatore e redattore.)
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