La triplice dea in Arabia
LE TRE NOBILI GRU: AL-UZZA, AL-LAT, MENAT
Prima
c’era e poi non c’era….
C’era un tempo molto molto lontano…
C’era, in un tempo molto molto lontano, una Terra meravigliosa, con
una profonda cultura matrifocale, pacifica ed armoniosa.
In questa Terra le divinità non avevano sembianze umane.
Non avevano volto.
Le Dee e gli Dei erano nella natura.
Erano la natura stessa.
Respiravano nel vento ed ardevano nel fuoco, nascevano e morivano come la Terra
ad ogni stagione, brillavano come la luna ed il sole nel cielo e l’orbita celeste
era il loro manto.
Queste potenti forze, vive e vibranti, venivano celebrate sui monti più alti e
nelle radure più vaste.
Nessun tempio poteva contenerle.
Erano in ogni cosa.
In questa terra feconda e desertica che fu, e che è, l’Arabia, tali erano gli Dei.
E tra essi una triade di Dee spiccava scintillante e benevola.
Tre entità potenti. Tre nobili Gru.
Al-Lat, Al-Uzza e Menat.
In un santuario tra gli alberi di acacia, a Sud della Mecca, veniva
venerata Al-Uzza, sottoforma di sorgente.
Lei, il cui nome significa “La possente”, era la stella del mattino, la Dea
deserto indomita ed indomabile.
Un pietra nera, smussata, rappresentava la sua energica e benefica essenza.
Al-Lat è semplicemente “La Dea”.
Il suo culto abbracciò aree molto vaste.
Infatti si possono trovare tracce di Al-Lat anche in altre culture.
Era Allatu presso i babilonesi, Allatum tra gli Accadi ed Elat tra fenici e
cartaginesi.
Forse, come luna infera, arrivò fino in Grecia col nome di Ellotis, Dea
venerata con culti orgiastici.
Tuttavia Erodono paragona Al-Lat ad Afrodite.
Nel mondo Arabo Al-Lat era la terra nella sua interezza. Era carica di frutti,
feconda, ricca di doni.
Era venerata ad At Tàif, sempre nei pressi della Mecca, ed una pietra bianca
era destinata a simboleggiarla.
Le donne, care ad Al-Lat, comparivano nude davanti alla sacra pietra, girandole
intorno, pregando la Dea che esaudisse le loro richieste.
Essa era incrollabile, inamovibile e su di lei venivano pronunciati i
giuramenti più solenni: “Per il sale e per il fuoco e per Al-Lat che è la più
grande di tutti”.
Infine Menat veniva venerata sulla strada tra la Mecca e
Medina, anch’essa sottoforma di una pietra nera.
Menat è la forza del fato, forse una rappresentazione della morte e
probabilmente è la più antica di queste divinità.
Tre Dee, una stessa forza muliebre.
Tre sublimi gru.
L’antica triade del deserto.
Il santuario di Al-Lat fu incendiato e la pietra bianca che per secoli aveva rappresentato la bellezza e lo splendore della Dea fu usata come gradino per la nuova moschea fatta erigere sul luogo da Maometto.
Anche il luogo sacro a Manat fu raso al suolo, ed il tesoro presente nel santuario fu razziato. I pezzi più belli di tale tesoro, due spade chiamate Mikhdam (la tagliente) e Rasūb (la penetrante), furono donate dal profeta a suo genero, Alì. Per meglio servire la gloria di Allah.
Infine le tre acacie sacre ad Al-Uzza (Dea che perfino il profeta aveva pregato in gioventù) furono sradicate.
La bellezza della natura non faceva onore all’Unico, geloso, iroso, Allah
L’influenza della
triplice divinità femminile nell’Islam
Tuttavia, nonostante la volontà di cancellare la triplice
divinità femminile, insieme al loro potere, all’influenza avuta e alla loro
storia, alcuni segni sono rimasti chiaramente visibili
nell’Islam stesso. Ad esempio, il culto e la venerazione delle pietre, una pratica che affonda le sue radici nel
paganesimo e nella rappresentazione di Allāt, Al-‘Uzza e Manāt.
L’Hajj, ovvero il pellegrinaggio alla Mecca, è uno dei cinque
pilastri dell’Islam, un obbligo a cui ogni musulmano, prima o poi, dovrà
rispondere. Una volta giunti alla Mecca, si dovrà girare in senso antiorario
sette volte attorno alla Ka’ba, la celebre costruzione nera all’interno della
quale si trova la pietra nera meteoritica,
sacra all’Islam. Una pietra dalla forma particolare, che ci rimanda
prepotentemente alla forma di una vulva, contornata da lamine d’argento e
misteri.
Secondo la
testimonianza dello storico Ibn al-Kalbi, nella fase pre-islamica, la tribù dei
Quraysh aveva l’usanza di venerare proprio la trinità femminile ruotando
attorno alla Ka’ba.
Simboli e riti antichi, capaci quasi di far credere che l’antica Dea d’Arabia possa donare un minimo del suo potere, nelle sue forme, alle donne che ancora oggi si ritrovano in condizioni disumane, spogliate di ogni diritto e coperte da ogni drappo. Invisibili agli occhi del mondo, ma ben visibili in ogni lembo di pelle scoperta, di capelli sciolti e forme mostrate.
Subordinate, addormentate come divinità potenti, ma dimenticate.
In attesa del risveglio.
Articolo di Angela Piccolomo tratto da Ultima voce
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