Viaggiare nei simboli – Il silenzio e la parola
Una delle virtú principali degli antichi consisteva nell’ascoltare il silenzio e poi intendere. Praticavano il silenzio con amore, per udire la «voce della coscienza» che sorge quando l’interesse personale si fa da parte rispetto al desiderio di cogliere il perchè di tutte le cose.
Quando ascoltiamo il silenzio, il tumulto dei fenomeni esterni si placa. Si svela ciò che abbiamo in comune con la natura: la luce divina.
Il procedimento razionale consiste nell’imparare e nel sapere; meglio, nel credere di sapere, perché le conoscenze sono passeggere. Il procedimento simbolico consiste nel provare, nello scoprire la nostra -capacità divina-. Ciascuno di noi capta la realtà a modo suo. Eppure, tutti captiamo qualcosa di permanente, fondamentale, che è la vita stessa. Attraverso il simbolo facciamo crescere la nostra –capacità divina-, ampliamo le nostre possibilità di percezione.
Il simbolo a volte può apparire oscuro, difficile da cogliere, perché la nostra –capacità divina- è insufficiente e non abbiamo fatto silenzio a sufficienza. Mentre ci troviamo ai piedi della montagna, non comprendiamo il racconto di chi ha raggiunto la vetta: ci arriva qualche impressione, qualche descrizione, ma anche noi, dobbiamo compiere l’ascensione per scoprire il paesaggio prodigioso.
Il simbolo è il «midollo sostantivale» di ogni cosa; è la materia di cui è composto il mozzo della Ruota della Fortuna, che fissa i destini e ha il movimento della ruota come unico carattere immutabile.
Scrive Marie-Madeleine Davy: - La differenza tra gli uomini è tutta qui: presenza o assenza di esperienza spirituale. Per quanto luminosa, tale esperienza non si acquisisce una volta per tutte, ma è destinata a successivi approfondimenti perciò l’uomo che si perfeziona in essa è attento ai segni di presenza, ai simboli, che come lettere dell’alfabeto gli insegnano un linguaggio, il linguaggio dell’amore e della conoscenza. L’uomo spirituale è istruito dai simboli e, quando vuol dar conto della propria ineffabile esperienza, deve ancora una volta, necessariamente, ricorrere ai simboli -.
Nel suo capolavoro Il gioco delle perle di vetro, Hermann Hesse dedica pagine mirabili alla pratica del simbolo, al linguaggio universale che il simbolo costruisce. I –giocatori- stabiliscono rapporti costruttivi della vita, i re del mondo antico dovevano per l’appunto distribuire in modo equo le ricchezze, materiali o spirituali: probabilmente, quindi, non è un caso se la scienza della costruzione ha avuto il nome di Arte Regia.
Uno dei mali più gravi di cui soffre la nostra epoca è certamente la confusione dei nomi. Chiamiamo libertà qualcosa che è soltanto indipendenza, conoscenza ciò che è soltanto credenza, verità ciò che è soltanto esattezza. In quelli che crediamo concetti creatori, collochiamo forme vuote, perché le denominazioni si sono confuse.
Gli inferni in cui ci troviamo non sono così lontani dal paradiso. Nella cattedrale di Worcester si può osservare, su una pietra angolare scolpita, un diavole che ha la testa al posto degli organi sessuali, artigli al posto dei piedi, e trascina verso la voragine infernale tre personaggi nudi e legati. L’inferno dunque contiene in sé tutti i valori creativi, ma mal ripartiti, mal distribuiti.
La figura del drago può essere interpretata sotto una luce analoga; da un lato simbolo del male, della distruzione, dall’altro l’emblema della folgorante potenza che muove l’universo. Il cavaliere iniziato non uccide il drago: lo soggioga, lo pacifica; sa bene che il mostruoso animale è custode di tesori nascosti.
Il simbolo parla quando gli poniamo domande…
Oggi viviamo ogni giorno nella complicata rete che è la manifestazione, anzi la dispersione. Per l’uomo del passato il mondo viene dall’Uno e torna all’Uno: quindi occorre uscire dalla dispersione, ritrovare l’unicità universale.
I simboli sono lampade sul nostro cammino, le stelle che ci guideranno per uscire da un’esistenza anarchica e diventare uomini nuovi.
Tratto da Il Segreto delle Cattedrali di Christian Jacq
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